martedì 15 dicembre 2009

sabato 12 dicembre 2009

Tristezza


Ho letto il tuo messaggio: sei triste. Non ho soldi sul cellulare per risponderti al volo.
Finisco la spesa veloce, picchiando le vecchiette per passare avanti nella fila.
Corro in macchina fino a casa prendendo tutti i semafori gialli della Brianza.
Rispondo un'ora dopo da casa. Ti scrivo sul cell giappo, ti mando una mail sul cell giappo.
Cazzo, è triste, cosa sarà successo. Mi agito. Cammino avanti e indietro. Mi sdraio. Penso di chiamarti. Non sei online. Ti sarai addormentato.
Ma perché. Perché sei triste.
Continuo a farmi domande. A cercare risposte che non posso avere perché non posso svegliarti alle 3 di notte per chiederti perché mi hai scritto che sei triste.

Quasi per osmosi, quando sei felice, lo divento anche io.
Quando hai paura, ho paura anche io.
Quando sei felice, sono felice anche io.
Non ti imito pedissequamente: è qualcosa di molto più complesso che non sono in grado di spiegare, ma credo sia dovuta al fatto che nonostante la distanza, io vivo CON te.
La nostra storia, così assurda agli occhi di tutti, è invece così semplice.
Forse il merito sarà della fiducia che nutro nei confronti del nostro rapporto.
Forse la colpa sarà del fatto che abbiamo vissuto solo piccoli attimi (ma importanti) alla velocità della luce.
Fatto sta che quello che tu provi per qualche strana magia viaggia nel tempo e nello spazio e mi raggiunge tramite una tremenda scudisciata sulla schiena.

Non so ancora il motivo della tua tristezza e continuo a rimuginare, a fare supposizioni.
Non so perché ti sei sentito triste, se sarai triste anche quando ti chiamerò all'alba giapponese.

So solo che questi 9000 chilometri di distanza mi stanno stretti.
Non posso prendere la macchina e venire a parlare.
Non posso andare a comprare del gelato e portartelo in camera e coccolarti.
Non posso rimanere sveglia di nascosto per vedere se riesci ad addormentarti.
Quello che so è che sono qui, con un sacco pieno di voglia di ascoltare i tuoi sfoghi e le tue parole.

Ti voglio bene.

Mi sto rendendo conto che questo post è pieno di un sacco di minchiate.
Non lo pubblico, le tengo nelle bozze e lo cancello quando sono lucida.
Anzi, no.

venerdì 27 novembre 2009

Il mio medico è fiducioso.


Sono stata dal medico.
Prima di uscire gli dico che ho letto un poster in sala d'attesa che dice:

"Ho smesso di fumare. E sono diventata più bella. Chiedi al tuo medico come fare"

Lei sorride, è un omone burbero, polemico, che picchia le vecchiette.
Penso "Mi farà una battutaccia e mi dirà: Fuma stronza, così crepi prima."
E invece si gasa, e inizia a cercare fogli, numeri di telefono.
Mi fa risedere, si mette a cercare su Internet.
Mi dice "Vedrai, ce la faremo".
Si segna il mio nome in agenda, su diversi foglietti e dice che settimana prossima devo tornare da lui che organizziamo tutto.
Mi vuole mandare al Centro Antifumo per iniziare. Fanno le seduto di "auditing".
Non so cos'è. Sarà una roba tipo Alcolisti anonimi?
Poi mi dice che useremo anche il Champix. Un fratello lontano degli antidepressivi.
"Laura, ce la faremo".

Amorini: non divento come la ragazza della foto.

Io c'avrò il Champix.


And the winner is... Micosi.


Per una settimana, due volte al giorno.


That's no moon. It's a cunt.

Which movie was this quote from?

Get your own quotes:

Le temps est une invention des gens incapables d'aimer


Spesso mi succede di pensare a come ti amo.
Io e le mie paranoie produciamo lunghi e inutili film.
Film in cui parte un loop infinito di domande: sto amando nella maniera giusta? Amo abbastanza? Sono in grado di dimostrarlo? Lo nascondo? Lo dimostro troppo spesso? Amo bene? Amo male?
E in questo film seguono i trip, le risposte, o meglio i tentativi di risposta.

Poi mi accade sempre che penso alla tua espressione ebete. E arrivo alla conclusione che, come sempre nella mia vita, sto facendo bene, ma potrei fare di più.

Vorrei riuscire a dimostrarti che non mi sono mai sentita così.
Che il tuo amore mi riempe il cuore, l'anima, il cervello.
I tuoi pensieri, le tue parole, i tuoi gesti sono cibo per il mio amore.
Il tuo amore.
Mi stupisce, mi tiene sveglia, mi fa sentire al caldo quando ho freddo, diventa ventaglio quando ho caldo. Non sono mai stata capace di sentirmi così. Libera e al sicuro.
Mi innamoro dei tuoi ragionamenti contorti, la mia mente segue il ritmo delle tue parole e ne rimane affascinata.
Mi imbroncio quando sei schietto. Mi stranisco quando cerchi di entrare nei miei silenzi e butti giù il muro dei miei malumori.
Non è mai successo. Mi sono sempre costruita i miei nascondigli fra pensieri incasinati e film. E quando arrivavo al culmine sbottavo freddamente.
Ho imparato a chiedere scusa, riesco addirittura a rendermi conto che posso sbagliare anche io.

Continua ad amarmi come sai fare tu.
Non posso farne più a meno.

giovedì 26 novembre 2009

Growing Old

Una coppia di anziani giapponesi seduti in fronte a noi in metro a Tokyo.
Possiamo prendere l'Express e non il locale. Facciamo prima.
No, restiamo qui. Li guardiamo. Sorridiamo. Ridiamo delle loro smorfie.
Sono ubriachi. Che cazzo si sono bevuti. Lui vuole le coccole, lei fa la preziosa.
È timida, si copre il volto con le mani che fanno uno strano balletto, simile al mio, quando rido e mi vergogno dei denti storti.
Si muove come me: è goffa, impacciata.
Lui è spavaldo, vuole i baci, vuole il contatto. Ci osservano, ridono e secondo me pensano a quando avevano la nostra età.
Noi li osserviamo e ci pieghiamo in due dal ridere, sono buffi, goffi, rumorosi, ubriachi.
Le fa una linguaccia e capisco che porca eva, sembro proprio io.
Ma sono felici: felici davvero. Mi capita raramente di vedere delle persone così felici, a meno che non si tratti di umani al di sotto dei 10 anni.
Li guardiamo scherzare e fare le mosse. Ridiamo. Commossi. Emozionati.
Voglio arrivare alla loro età, ubriacarmi e tornare a casa in treno e ridere, ridere tutto il tempo.

Alla loro fermata lui la raccoglie, e la trascina sotto braccio fuori dal treno.
E poi fino a casa. Avrò dovuto in qualche modo pigiamarla e infilarla nel letto.

Sono belli. Vecchi. Incredibilmente felici.

Voglio essere come loro.

lunedì 23 novembre 2009

Your Kokeshi

Ci sono, sono lontana 9703 chilometri. Ma ci sono.
Con la testa e con il cuore. Con il disordine che mi hai chiesto di lasciarti in casa.
Con l'odore di uovo marcio, il mio caffèlatte scaduto nel frigo, il dolcino con le uvette.
La caffettiera con il manico brasato (e non me la buttare che compro il manico di ricambio!).
L'odore sulle lenzuola.
I capelli persi ovunque.
I gatti di polvere nella doccia.
La crema appiccicosa nella doccia.
Creamy.
Le chiavi di casa nostra.
Spero di averti lasciato qualche bel ricordo, che ti fa sorridere, o anche ridere.
Spero che ti siano rimaste tutte le cose belle che mi porto in tasca da questo viaggio.
Le nostre cene giapponesi in cui ho mangiato grazie a te robe che non avrei mai nemmeno sfiorato, le risate, i balletti, le pive brevi che passano con un sorriso, gli abbracci di notte, Heroes (che comincia a piacere anche a te), l'olio di oliva sui nostri tatuaggi.
Io queste cose belle le ho piegate con cura mentre preparavo la valigia e me le sono messe in tasca. E me le porterò con me. Sempre.
E sbaglio ancora quando ti cerco nel letto di notte.
Ma ti ritrovo in tasca se guardo con attenzione e non ti lascio con il pensiero nemmeno per un secondo.
Le cose brutte le ho accartocciate e messe in un sacchetto, che non butterò, ma che porterò sempre con me perchè mi serviranno a capire se ho sbagliato, se ho fatto l'offesa per cose futili, se ho tenuto una piva troppo a lungo, se non ti ho dimostrato quanto ti amo.
Ma onestamente questo è un sacchetto proprio piccolo :P.
E ho ancora un sacco di ricordi belli da sbirciare quando sento la tua mancanza!
E mi piace un sacco.

giovedì 29 ottobre 2009

Culatta Is Here With You.

Hey,
la culatta è arrivata dopo 20 ore di viaggio in aereo seduta tra un bierbauch tedesco scolabirra e una giapponese con le ciabattine, il cuscino per il collo, il cuscino per la schiena e mille unguenti salvavita.
La culatta è qui con te a Tokyo, dorme nel tuo letto, mangia con te, usa il tuo Toto wc, la tua doccia, ti bacia, ti abbraccia la notte, scorrazza per i tuoi appartamenti indossando una magliettone largo rosso, sfoggiando una forcina tra i capelli per tenere la frangia a lato e h appena scoperto di avere un nuovo simpatico piercing senza gioiello però sulla coscia sinistra.
Spero che ti piaccia, la culatta.
Spero che tu riesca a godere della sua compagnia, a sentirti vivo, come si sente lei, culatta fuori dal tempo che desidera solo farsi mangiare da te per tutto il tempo.
Mi dice di riferirti che ora ascolta musica cuffiata sul tuo letto mentre ti godi la tazza del cesso riscaldata ed è felice. E vorrebbe farlo tutta la vita.

Mi dice di chiederti se hai voglia di andare al cinema stasera.

Falle sapere.

Grazie,
Culatta's friend.

martedì 27 ottobre 2009

The Wall


"Beyond the wall" photo by Giuseppe Bognanni under (CC) Creative Commons

Una casa, un muro.
Troppe paranoie per un muro.
Pensi che un muro fuori dalla nostra bellissima finestra possa farmi stare tanto male da non riuscire più a vivere in una casa perfetta a cui non manca niente, in un quartiere gino quanto basta, con un uomo stupendo che amo alla follia e con cui voglio passare tutta la mia vita?
I muri mi fanno un baffo.
Io ai muri, quelli veri, mi ci sono arrampicata per una vita e non mi fanno paura.
Con le mani e le ginocchia sbucciate mi arrampico senza paura (o per lo meno così cerco di dare a vedere) e quando arrivo in cima mi godo la vista.
Il nostro non è mica un muro.
È un simpatico murino, che delimita i nostri spazi, che ci dona la privacy che cerchiamo, per sonnecchiare sereni sul letto con le tende aperte.
È quasi un benefit!
E io questo muro, ti dirò, già lo amo.

domenica 18 ottobre 2009

Paranoie & Co.


Mi capita spesso, non sono abituata a stare serena.
O meglio, serena e tranquilla in una relazione non lo sono mai stata.
A parte una certa parentesi in cui più che tranquilla e serena ero emozionalmente frigida.
E' più forte di me.
E capisco che alle volte può non essere piacevole.
E capisco che siamo sulla stessa barca e quando scendo io scendi tu.
E viceversa.
E' che la paura di fallire è tanta perchè i sentimenti che provo sono troppo grandi, troppo invadenti, spesso fuori controllo.
Non sono abituata a non avere il controllo.
Non sono abituata a gestire i momenti di depressione o di tristezza: faccio del mio meglio e spesso sono maldestra e peggioro le cose anziché sistemarle.
Me ne rendo conto in ritardo.
Avere di fronte (accanto) una persona che è così emozionalmente "piena" mi fa paura, mi fa invidia.
E mi affascina, e mi fa innamorare di più ogni minuto.

Come Lucy ho sotto gli occhi ogni giorno la dimostrazione che tutte le mie paranoie non hanno motivo di esistere. Eppure, a volte, senza rendermene conto, continuo ad ignorare.
E parto in quarta tra me e me.
E' che è stato tutto così veloce.
E' che ho avuto poco tempo per costruirmi delle certezze nella vita reale.
E' che non sono abituata.
E' che non mi sembra vero.
E' che ho paura.
E' che ciò che provo è talmente grande che mi fa paura.
Non sono paranoie deleterie, so che mi aiuteranno a costruire, un mattoncino di Lego alla volta, la sicurezza di una vita, quella che cerco da sempre, e ad abbattere piano piano il muro delle mie insicurezze.
E io spero che mi starai vicino, a buttar già mattoncini di BanBao, un poco alla volta.

Che dici, ci stai?

Perchè

"project 365: day 227" photo by erin MC hammer under (CC) Creative Commons

Mi capita raramente di sentirmi chiedere il perché delle cose.
E il più delle volte mi spiazza.
Chiedere il
perché delle cose serve a capire, analizzare e concretizzare.
I bambini chiedono sempre
perché: riescono a farlo meglio e più spesso degli adulti.
Chiedono
perché quando gli si dice che qualcosa non va fatto, o che in certo posto non si va.
I loro
perché sono puri e non ci spaventano: anzi, spesso gli ignoriamo, perché sono solo il sintomo di una vivace curiosità.
Quando però sono gli adulti a chiedere il
perché delle cose, allora tutto cambia.
L'intenzione e lo scopo. Il mezzo e il fine.
Forse
perché non ci sentiamo mai veramente in grado di fornire spiegazioni definitive.
O
perché ci si sente come in un quiz a premi, di quelli senza l'aiutino.
E a volte le domande spiazzano. Lasciano senza fiato.
?erché la risposta è chiara e ben delineata nella mente.
E scomposta e disordinata non appena si cerca di esprimerla.

E tu, che non smetti mai di stupirmi, mi chiedi il
perché.

E io goffa, mi arrampico sugli specchi.
Perché temo che la mia risposta possa deluderti, come al solito.
Come temo che un nuovo taglio di capelli possa non piacerti.
Come temo di scrivere un post banale o dire una frase fuori luogo.
Come temo di chiamarti "stella" tentando inutilmente di rimangiarmelo dopo tre secondi.

Bene, come al solito la risposta alla tua domanda sarà goffa e storta, come me.
Con una mano davanti al viso a coprire le emozioni e le risate.
Con la schiena curva e l'inquadratura della webcam a metà faccia.

Perché...
Perché sei arrivato nella mia vita per caso, in un momento in cui avevo già tirato i remi in barca da un pezzo, per capire cosa fare della mia vita.
Per capire se fossi obbligata a vivere inerme un futuro in cui non ho mai creduto.
O forse per la mia incapacità di rinascere, risorgere. Di sconvolgere e sconvolgersi.

Tu la mia vita l'hai stravolta.
Hai risvegliato i miei pensieri stanchi e hai tirato fuori le mie emozioni appassite.
Perché conoscendoti ho cominciato a capire che stavamo vivendo lo stesso "dramma": l'incapacità di tenere a bada le emozioni e la deficienza quando eravamo uno di fronte all'altro, come il mondo intero invece si aspetterebbe da due "adulti" come noi.
Perché capivo che eri sincero e non ti vergognavi di ciò che stavi provando.
Perché ci siamo avvicinati lentamente, come due sconosciuti, e in pochi istanti abbiamo sentito l'esigenza di raccontarci le sfighe di una vita, senza la minima paura del giudizio.
Perché non ho dubitato, nemmeno per un momento, che i tuoi sentimenti potessero non essere sinceri.
Perché riesco a fidarmi di te come non mi sono mai fidata di nessun altro.
Perché quando chiudo gli occhi la sera, penso al futuro e in quel che vedo ci sei tu. A tempo indeterminato. Non un futuro a progetto, o CoCoCo.
Perché sei concreto e sento di poter contare su di te.
Perché quando hai un problema ho voglia che tu venga da me, sempre, per risolverlo o solo perché possa starti vicino.
Perché vedo il nostro futuro e sento per la prima volta nella mia vita che tutto può andare bene, se lo vogliamo.

Perché sei il mio futuro, e lo so per certo.
Per come sei, ma non per una cosa e non per l'altra.
Mi prendo tutto quello che c'è, come stai facendo anche tu.
Non lascio giù niente, non c'è scarto. Il bene e il male, il bello e il brutto, il dolce e il salato, l'allegria e il dolore, le risate e le lacrime, il freddo e il caldo.
Tutto, io mi prendo tutto così com'è: senza la pretesa o la voglia di cambiare nulla, di aggiungere un optional, di cambiare i sedili di serie.

Questo è il perché.

venerdì 16 ottobre 2009

Oren Lavie - Her Morning Elegance

Casa Non Casa


Difficile sentirsi a casa, quando a casa non sei.
Difficile sentirsi a casa, quando desidero che la mia casa sia altrove.
Difficile tornare a casa, se la casa in cui torno non è più la mia.
Difficile abituarsi all'idea che ci vuole tempo, ci vuole pazienza.

Perchè ad un certo punto, superati i limiti della distanza, del tempo, del sonno, dei bisogni fisiologici, alla fine quel che resta, una volta chiuso il PC e spente le luci, è solo solitudine.
Solitudine e lontanza. Ma soprattutto solitudine.

In quel momento ci si rende conto che le distanze superate con tanta fatica e il tempo sconfitto sono solo un'illusione, perchè gli occhi si chiudono, in una stanza vuota e non c'è nessuno nel letto, nessuno accanto da abbracciare, nessuno.

Questo è il nostro presente.
Annullato il mondo intorno a noi tentiamo con tutte le forze di lottare e avere la meglio sulla nostra solitudine.
Una solitudine che ci avvicina e ci separa.
Una solitudine consapevole e il più delle volte orgogliosa: scelta come pegno da pagare per sentirsi finalmente a casa.
E' come se si dovesse soffrire un po', sentirsi soli e crogiolarsi nel buio, per raggiungere una casa che possa essere definita tale.
Una stanza che sia reale e non virtuale.
Una cucina ricca di odori di spezie.
Un bagno con vasca bidet e un Toto cesso, che copra gli odori e nasconda i rumori.

Una casa nostra, poter essere finalmente vicini e non divisi da migliaia di chilometri.
Una casa in cui tu lavori mentre io ti attendo fissando incomprensibili programmi giapponesi in televisione.

La casa non casa ha vita breve.

Fra poco la casa, diventa casa.

giovedì 8 ottobre 2009

Un mese



Non puoi immaginare quanto mi rende felice vedere quello che vedi tu.
Immaginare gli angoli dove decidi inconsapevolmente di posare i tuoi occhi.
E pensare che fra poco non avrò bisogno delle immagini del tuo telefono, dei tuoi racconti, perchè ci sarò anche io, con la mia macchina fotografica a cercare scorci di questa città in cui vivremo insieme.
Sarà l'azzurro del dopo-tifone o sarà che vedo attraverso i tuoi occhi, ma tutto mi appare insolitamente bellissimo.
E ho voglia di piccole cose, brevi momenti, insieme.
Come prendere la metro e sederci uno di fronte all'altro.
Uscire a cena e impazzire per riuscire a trovare qualcosa di commestibile anche per una scassacazzo come me.
Ora scopro che esistono pure delle lasagne a Tokyo.
Riuscirò a sopravvivere :o), stasera stiamo a casa e ci mangiamo le lasagne!

martedì 6 ottobre 2009

The Mountain Goats - Dilaudid

Love is being stupid together

"Love is being stupid together" photo by Nattu under (CC) Creative Commons

Sì. Siamo stupidi.
Tu che mi chiami all'improvviso con un'emergenza: dirmi che mi ami Troppo Fess.
Ed io, che tutto ad un tratto divento biondo platino e mi emoziono come una bambina, ancora capace di emozionarsi.
Non sono mai stata così. Non sono stata mai bionda. Nemmeno quando ce ne sarebbe stato bisogno. Nemmeno nelle mie relazioni passate. Io sono (ero) una che non si emoziona.
Ti guardo dormire in webcam e mi sento bene.
Ti scrivo post su un blog anonimo e sperduto: raccolgo i miei pensieri e li conservo per te.
Per quando ne avremo bisogno. O anche solo per quando avremo voglia di ridere.
Mi manchi molto. Mi manchi sempre. Pur non avendoti vissuto mai completamente.
E riuscire a viverti è diventata la mia unica preoccupazione. Tutto il resto si è ridimensionato.
Il lavoro che non mi dà più soddisfazioni, i miei fallimenti, i miei dolori e le mie preoccupazioni.
Tutto è diventato così piccolo rispetto a quello che sto provando.
Forse è davvero da stupidi buttarsi con tutte le scarpe in una relazione così difficile.
Ma siamo stupidi in due. E quello che agli occhi del mondo è avventato, prematuro e adolescenziale, ai miei occhi appare come l'unico pensiero, il mio unico obiettivo.
Essere stupidi in due.
E affrontare un lungo viaggio insieme.
E siamo bravi, perchè ci stiamo riuscendo e continuiamo a crederci.

Sei bello mentre dormi: ti spio come quando dormiamo insieme davvero.
Come quando ascolto il tuo respiro pesante e mi lascio abbracciare fino ad addormentarci insieme.
E voglio svegliarmi, quando ce ne sarà bisogno e nonostante il mio sonno pesante da ghiro, tutte quelle volte in cui non riuscirai a dormire.
E voglio esserci, per te, sempre.
E voglio ridere un sacco.
Ascoltare musica.
Guardare film.
Fare l'amore.
E dormire, con te, in quel letto. Con il tuo pigiama e una maglietta con il mostro che si illumina di notte.

あなたが いなくて 寂しい気持ちになりました。

"Rest" photo by nasrulekram under (CC) Creative Commons

Forse esagero.
Non ho motivo di sentire la tua mancanza, visto che ti fai in quattro per non farmi sentire sola.
E a dirla tutta non mi sento affatto sola.
È che ce lo siamo detti più e più volte: il tempo trascorso lontani scorre lento e inutile. Ho spesso la sensazione che sia sprecato, se non vissuto accanto a te.
Però è vero anche che amplifica le emozioni, i sentimenti.
Mette in moto orde di pensieri e riflessioni. E questo è positivo per chi come me aveva smesso da un pezzo di pensare, sognare, emozionarsi.
Erano anni che non sentivo la mancanza di qualcuno.
Intendo qualcuno di ancora in vita.
Sento tutt'oggi la mancanza di mio padre, che è morto ormai da 7 anni, come se fosse successo ieri. Rivedo gli ultimi momenti in cui ho fatto di tutto per stargli accanto. Per non perdermi le ultime parole lucide. Per non sentirmi in colpa.
Ma si tratta di un sentimento che va oltre qualsiasi logica e che è difficile da spiegare.
La mia mente e il mio cuore sanno che questa lacuna non potrà mai essere colmata, che un ritorno è impossibile. Eppure continuo a sentire la sua mancanza.
Adesso mi manchi tu, e questo aggiunge vuoto al mio vuoto.
Ma è una sensazione strana, a volte, solo a volte, bella, in cui amo crogiolarmi per bene.
È come se questo fosse un passaggio obbligato.
Una sorta di penitenza obbligatoria.
Una tangente da pagare.
Un pedaggio al casello per poter uscire dall'autostrada e correre in macchina da te.
O forse sono solo seghe mentali mie: siamo sfigati e ci siamo incontrati proprio quando tu stavi per partire e trasferirti dall'altro capo del mondo.

Only future will tell.

lunedì 5 ottobre 2009

Gaijin In Love

"Worldwide Delivery Service" photo by *yasuhiro under (CC) Creative Commons

Inizio così, senza preavviso.

A scrivere ad un pubblico assente, a te che che sei il mio pubblico e non lo sai.

Credo che non ti dirò nulla di questo blog, per un po'.

Piuttosto te lo dirò più in là, una volta accumulate una serie di cazzate sufficiente a farti sorridere.

Perchè è così: mi piace quando sorridi, o ridi. A dire il vero mi piaci comunque, anche quando ti commuovi, quando hai il muso, quando sei preoccupato.

Forse inizio a scrivere per tenere lontana la malinconia e per fingere di non essere così lontani.

Di non vivere a 12 ore di volo.

Di non dover farti svegliare alle 4 del mattino per una chiaccherata su Skype.

Per lo meno fino a quando non riusciremo a stare insieme, vicini, nello stesso letto, sotto lo stesso tetto, con un bagno solo e l'IPod nelle orecchie.

Fino a quel momento scriverò.

O forse continuerò a scrivere anche dopo, se quello che vivremo è esattamente quello che stiamo sognando adesso.

Una vita in due in una città come Tokyo, una casa solo nostra, noi due che diventiamo famiglia.

Oggi è arrivato per posta il mio manuale Japanese For Dummies.

È un nuovo inizio, il Nostro.

In attesa di diventare due gaijin e una capanna, io provo a diventare una gaijin in Brianza.